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Dopo il fallimento dell’esame di Politica economica del 15 giugno scorso (20/30, rifiutato), il colpo psicologico è stato molto forte.
Ci tenevo a passarlo, ma non è andata. E così dovrò rivedere, di molto, i miei piani per la laurea.
Adesso ho il terrore di quell’esame. Ma non ho rotto il silenzio per dire questo.
Oggi ho cercato di mettermi un’altra volta su quel dannato esame per cercare di ridarlo il 28 giugno. Devo rivedere alcuni buchi, perché l’ho già studiato per tre mesi e passa.
Ma non ci sono riuscito, qualcosa mi bloccava. E così ho adottato il “metodo Platone”.
Platone diceva che scrivere qualcosa è come fermare per sempre un’idea. Significa che vuoi distaccarti da quel qualcosa. Per sempre. Io volevo distaccarmi dall’ansia di stamattina. E dal terrore dell’esame.
Dopo una pagina e mezzo circa di flusso di coscienza, ho avuto un attacco di panico.
Non per finta. È stato un attacco violentissimo. Tremendo.
E come sospettavo, l’esame c’entrava come un logaritmo in base 4 in una partita di pallone.
Alla fine del mio “viaggio”, ho trovato la soluzione, la radice del male. E mi sono sentito bene… per quanto? Un quarto d’ora? Venti minuti? Non so dirlo.
Mi sono sentito bene perché ero come “regredito” a tanto tempo fa. Perché, vivaddio, avevo preso una decisione. Folle, magari, ma l’avevo presa.
Poi sono tornato sulla terra: ho realizzato che ho ancora un paio di promesse da mantenere fra oggi e domani. E ho realizzato che aveva ragione la mia Prof. di Sociologia generale: “Nessuno di noi è realmente libero. Lo siamo solo nella forma. Nella sostanza, abbiamo degli impegni sociali irrinunciabili a cui far fronte”.
Ma per alcuni momenti mi sono davvero sentito libero.